Di ANDREA CUCCO VALLE DI BAMIYAN (AFGHANISTAN) – Abbiamo ancora tutti in mente le immagini delle esplosioni che nel 2001 hanno frantumato le statue dei Buddha di Bamiyan....
Di ANDREA CUCCO
VALLE DI BAMIYAN (AFGHANISTAN) – Abbiamo ancora tutti in mente le immagini delle esplosioni che nel 2001 hanno frantumato le statue dei Buddha di Bamiyan. I talebani al potere avevano deciso di abbattere dei monumenti “non islamici” che tanto interesse destavano nella comunità internazionale.
Inizialmente ci avevano provato a colpi di cannone ma dopo i primi maldestri ed inefficaci tentativi (i colossi erano stati scavati direttamente nella roccia) fecero ricorso a grosse quantità di esplosivo che, purtroppo, ebbero finalmente la meglio su diciotto secoli di storia afgana.
Le statue erano state scolpite nell’arco di due secoli (III°-V° sec d. c.) da una, allora floridissima, civiltà buddista che prosperava in quell’incantevole tratto della via della seta.
Quella detonazione non fu però l’unico delitto dei talebani. Bamiyan prima dell’avvento dei talebani era abitata quasi esclusivamente dagli hazara, un’etnia discriminata ed oppressa a lungo dai pashtun (la tribù cui per lo più appartenevano i talebani e che, ancor oggi, detiene il potere politico) per i tratti fortemente orientali ed il differente credo religioso (sciismo).
I barbuti invasori prima di innescare l’esplosivo hanno effettuato numerose ed improvvise operazioni di pulizia etnica che, undici anni fa, hanno completamente svuotato la valle di Bamiyan
dei suoi originari abitanti.
E’ passato tanto tempo e si sono succeduti numerosi interventi ed incontri internazionali tra governo afgano ed Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura).
Per comprendere lo stato dei lavori e le aspettative dal punto di vista degli afgani abbiamo incontrato un membro del direttivo per conservazione dei monumenti storici della valle di Bamiyan, Hamzeh Yousufi, ai piedi delle nicchie che ospitavano i grandi Buddha.
Signor Yousufi cosa è stato fatto negli ultimi undici anni a Bamiyan?
“Gli interventi effettuati dall’UNESCO e da paesi come l’Italia e la Germania sono stati pochi e principalmente indirizzati al consolidamento del sito ed all’allestimento di strutture per la conservazione dei frammenti delle statue”.
Quali sono i lavori che a suo parere dovrebbero cominciare al più presto?
“La maggior parte degli abitanti di Bamiyan attende che partano lavori per la ricostruzione dei Buddha. Questi potrebbero essere ripristinati utilizzando i frammenti degli originali. Al momento, tuttavia, non è chiaro cosa, il nostro governo e le organizzazioni internazionali, vogliano fare”.
Il governo giapponese ha sempre avuto a cuore la valle di Bamiyan.
“I giapponesi sono stati sempre attivi negli interventi di restauro. Non è stato però ancora ufficializzato alcun programma per la ricostruzione delle statue”. Molti dei lavori finanziati dai giapponesi hanno avuto come obiettivo il restauro delle grotte (sono centinaia e si estendono per chilometri lungo la montagna che ospitava i Buddha ed in aree adiacenti, nda).
Nel mondo esistono molti monumenti distrutti e ricostruiti varie volte nel tempo. Non crede che se le statue venissero ricostruite si potrebbe perdere il ricordo e la gravità di ciò che è stato compiuto dai talebani?
“È una delle nostre preoccupazioni. La sfida, nel caso di una ricostruzione, sarà proprio nel riuscire a preservare la memoria storica di ciò che è avvenuto. Se fosse possibile ricomporre il 70% dei pezzi, i Buddha andrebbero ricostruiti”.
Che percentuale avete raggiunto oggi?
“Non posso dare una cifra perché il lavoro fatto finora è stato quello di raccogliere i frammenti in depositi coperti”.
Al di là degli aiuti internazionali, non dovrebbe essere interesse diretto del governo afgano il recupero dei propri gioielli artistici?
“Certo, ma il grosso del budget a disposizione del governo proviene pur sempre dagli aiuti stranieri. C’è poi un’altra questione che andrebbe affrontata: quella della carenza di esperti di restauro. In Afghanistan non abbiamo certe professionalità”.
In Italia è stata ricostruita la volta crollata di una chiesa (Basilica superiore di Assisi), pezzo per pezzo, con i materiali originari. A quanto può ammontare il costo della ricostruzione?
“Il budget necessario non posso quantificarlo con precisione ma è sicuramente alto. Questo perché i tempi di ripristino saranno sicuramente lunghi”.
Ricordiamo che la costruzione delle statue è andata avanti per ben due secoli.
“Non credo che il governo afgano invierà all’estero personale da specializzare in tecniche di restauro.
Se anche avessimo tali risorse, la guida o l’ausilio di esperti stranieri rimarrà fondamentale per ogni programma futuro”.
Quanto è importante avere una meraviglia come Bamiyan in Afghanistan, se poi è irraggiungibile a causa delle critiche condizioni della sicurezza delle strade che la collegano a Kabul?
“L’unico luogo che possa ospitare le statue è Bamiyan. Non avrebbero senso in un’altra città afgana. Quindi è importante che, se saranno ricostruite, siano ricostruite con i materiali e le proporzioni originari nella loro valle d’origine”.
Dopo l’intervista ci viene concesso il privilegio di visitare un’area protetta, quella che custodisce i frammenti delle statue. La guardia che ci accompagna ci confida che il prossimo anno dovrebbe partire un programma giapponese per la ricostruzione di uno dei due colossi.
Ai piedi delle rovine, in una delle antiche grotte artificiali presenti nella montagna (sono centinaia), ci imbattiamo in una famiglia hazara che assieme ad almeno altre 200 occupano l’area. Ci raccontano di essere originari di Bamiyan ma che, dopo la guerra civile ed il regime talebano, hanno perso ogni proprietà. L’Unesco, per favorire lo sgombero del sito archeologico, avrebbe donato a molti degli occupanti dei fazzoletti di terra. Senza soldi per costruire una casa, la maggior parte dei beneficiari, non ha potuto lasciare quegli alloggi di fortuna.
Il giorno seguente, sul volo di ritorno da Bamiyan verso la capitale, incontriamo due funzionari dell’ambasciata giapponese. Ne approfittiamo per interrogarli su quanto affermato dal custode il giorno prima.
Rispondono, sorridendo, che girando per la città hanno appreso da gente comune che li fermava per strada di un progetto giapponese per la ricostruzione delle statue. “A noi però non risulta. Sembrano esserci davvero molte aspettative da parte degli abitanti di Bamiyan!”.
(09 giugno 2012)