Di Nicole Valentini L’ambivalenza dell’educazione a Daykundi tra minaccia percepita e opportunità di riscatto Daykundi è una delle province più povere dell’Afghanistan. La povertà di questa regione è...
Di Nicole Valentini
L’ambivalenza dell’educazione a Daykundi tra minaccia percepita e opportunità di riscatto
Daykundi è una delle province più povere dell’Afghanistan. La povertà di questa regione è dovuta soprattutto ad una precisa volontà politica dei vari governi che si sono succeduti in Afghanistan, nonostante i miliardi di dollari ricevuti in questi anni dalla comunità internazionale. Questi soldi sono stati in parte destinati alle regioni a maggioranza pashtun e in parte finiti nelle tasche di politici corrotti.
Daykundi fu riconosciuta come provincia a livello amministrativo solo nel 2004. Alla sua nascita si potevano contare 15 scuole sul territorio, oggi invece sono più di 400, suddivise in elementari, medie e superiori.
Nonostante la povertà, la popolazione di Daykundi riconosce il grande valore dell’educazione sia femminile che maschile (basti pensare che in questa provincia le bambine e le ragazze rappresentano ben il 44% degli studenti).
Alla luce di questi fatti non sorprendere che il primo sindaco donna di tutto l’Afghanistan, Azra Jafari, sia stato eletto proprio a Nili, capoluogo della provincia di Daykundi. Ogni anno sempre più studenti e studentesse provenienti da Daykundi, partecipano al concorso per accedere all’università (6000 solo quest’anno).
Questi dati hanno iniziato a creare tra molti governanti e politici del paese, il timore che una popolazione hazara istruita possa minacciare il tradizionale assetto di potere da secoli nelle mani delle élite pashtun.
Una popolazione istruita e cosciente dei propri diritti, è infatti difficile da sottomettere, e ha inoltre la possibilità di andare con il tempo a sostuire l’attuale elité dominante, la quale è composta in larga parte da uomini corrotti, trafficanti di droga, assassini, e collaboratori dei Talebani.
Gli studenti che quest’anno sono entrati all’università potranno un domani dar vita a una società più giusta, equa e democratica anche nei confronti delle donne. Per questo motivo pochi giorni fa, in occasione della cerimonia per l’anniversario della caduta del regime comunista, tenutasi presso il palazzo presidenziale di Kabul, un famoso e potente capo tribale pashtun di Kandahar ha tenuto un infervorato discorso contro ciò che egli ritiene una grande ingiustizia.
Farooq Aazam ha infatti sostenuto che “non è accettabile e non si può tollerare che da una regione secondaria come Daykundi oltre 6000 studenti abbiano partecipato al concorso, mentre dalla grande Kandahar solo 2100 studenti vi abbiano presto parte”. Poco prima lo stesso Aazam aveva lamentato il trattamento dei prigionieri Talebani (che egli definisce “nostri prigionieri), non è difficile perciò comprendere il suo nervosismo nei confronti di un tale successo da parte di un popolo, considerato dai Talebani, infedele e indegno di vivere.
Aazam però non comprende che per cogliere appieno il fallimento educativo di Kandahar, dovrebbe fare innanzitutto una cosa: guardarsi allo specchio. È proprio infatti, chi come lui, promuove l’oscurantismo, la discriminazione etnica e di genere, il fanatismo e l’invidia ad essere la causa del suo stesso male e della rovina della sua stessa società.
Nota importante: Secondo l’Osservatore generale speciale degli Stati Uniti per la ricostruzione in Afghanistan (SIGAR), a partire dal 31 marzo 2015, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ha speso 769 milioni di dollari per sostenere l’istruzione in Afghanistan. Un rapporto del SIGAR ha accusato alcuni funzionari operanti presso il Ministero della Pubblica Istruzione, di aver sottratto milioni di dollari, fornendo false statistiche scolastiche ai donatori.
Secondo questo rapporto gli Stati Uniti potrebbero quindi aver speso milioni di dollari per scuole che non sono mai esistite. Tutto ciò è accaduto quando Farooq Wardak era ministro della Pubblica Istruzione. Wardak è famoso anche per la sua opposizione all’educazione femminile.