Quando Ahmed Rashid descrive Kabul nel suo testo “Talebani”, la definisce come una “Dresda di fine anni novanta”.
I dieci anni di occupazione sovietica, la sanguinosa guerra civile fra Mujaheddin e la conquista Talebana, avevano restituito al paese una capitale fantasma. In qualsiasi angolo della città c’erano enormi cumuli di macerie che stazionavano in quei luoghi per mesi.
Era quasi impossibile riuscire a trovare abitazioni o edifici che non avessero danni ingenti e pure gli uffici delle ONG, che i Talebani fecero di tutto per allontanare da Kabul, erano spogli e freddi. Nei primi anni duemila, dopo la caduta del regime dei Talebani, la città si ripopolò e un quartiere in particolare, Dashte Barchi, nella parte ovest di Kabul, finì per diventare un quartiere etnico, abitato al 90% da Hazara.
La mattina di sabato 8 maggio 2021, una Toyota di colore rosso parcheggiata fuori dalla Sayyd al-Shuhada high school, esplode improvvisamente proprio mentre gli studenti stavano uscendo da scuola. Il bilancio è terribile: oltre novanta morti e più di duecento feriti, per la maggior parte giovani studentesse Hazara. Il mondo, per qualche ora, torna a puntare gli occhi sull’Afghanistan.
Molti leader occidentali condannano l’accaduto ed esprimono solidarietà. Il governo di Ashraf Ghani si scaglia contro i Talebani, accusandoli di essere i responsabili. I Talebani, attraverso un comunicato molto duro, rifuggono la responsabilità degli attentati, che condannano, e accusano l’intelligence afghana di essere parte dell’organizzazione.
Tempo qualche giorno e l’attenzione mondiale si sgonfia, le terribili immagini delle vittime lasciano il posto a questioni nuove. La risposta delle Istituzioni afghane è vergognosa: nonostante gli appelli internazionali di associazioni come AIHRC o UN Women, che esortano Ghani e il suo governo ad indagare seriamente e non perdersi in proclami propagandistici, a quasi un mese di distanza non sono ancora iniziate indagini ufficiali.
Molti dei feriti sono stati rimandati a casa dagli ospedali con ferite aperte, infezioni, o arti rotti e schegge di bombe conficcate nella testa. Generalmente, il governo afghano corrisponde una somma pari a 1100 $ (per i morti) e 550 $ (per i feriti) ai familiari delle vittime. In questo caso Ghani ha elargito solamente 550 $ per i morti e appena 200 $ per i feriti, dimostrando una volta di più come la vita degli Hazara non valga quanto quella di qualsiasi altro afghano.
Riunite in una conferenza stampa, le famiglie delle vittime hanno denunciato questa situazione discriminatoria, chiedendo sicurezza e protezioni per i loro figli, rilanciando fortemente una storica rivendicazione Hazara: il riconoscimento da parte dello Stato del genocidio Hazara.
Il governo ha ignorato queste richieste e la stampa di regime ha addirittura censurato la parte sul riconoscimento del genocidio nello specifico. Riconoscere il genocidio, per uno qualsiasi dei governi pashtun, vorrebbe dire ammettere, implicitamente, che il potere centrale in Afghanistan è a totale appannaggio dell’etnia pashtun, che da secoli lo esercita escludendo gli altri gruppi etnici e, nello specifico, discriminando in maniera sistematica e riconosciuta dallo stato gli Hazara.
Negli ultimi anni gli attentati nel distretto Hazara di Dashte Barchi sono aumentati in maniera vertiginosa e proprio per questo affermare che quello di sabato 8 maggio possa essere solo un caso isolato, vuol dire irrimediabilmente essere in mala fede.
Il 23 luglio del 2016, una violentissima esplosione colpì una piazza di manifestanti Hazara, provocando oltre 100 morti e più di 400 feriti. Il 21 ottobre del 2017 un’autobomba esplodeva di fronte alla Moschea Imam Zaman, facendo 39 vittime e più di 50 feriti. Il 16 agosto del 2018 un attacco suicida ha ucciso 34 studenti Hazara del distretto di Dashte Barchi che stavano studiando per i test universitari. A distanza di un mese, due bombe hanno distrutto un centro sportivo Hazara, togliendo la vita ad oltre 20 persone e ferendone più di 70.
E ancora, il 13 maggio del 2020 un commando di uomini armati è entrato nell’ospedale di Dashte Barchi, si è diretto nel reparto maternità ed ha ucciso a sangue freddo oltre 30 donne, molte delle quali ancora incinta o che avevano appena partorito. L’ultimo attacco prima di quello alla Sayyid al-Shuhada è avvenuto il 25 ottobre del 2020, sempre in un centro di formazione e di studi frequentato da giovani studenti Hazara. Il bilancio, anche in quel caso, fu terribile: 24 morti, oltre 30 feriti. Il 1° giugno del 2021, due nuove bombe esplodono a bordo di due bus che trasportavano lavoratori e studenti, si contano altri 30 morti.
L’azione dell’AIHRC (Afghanistan Independent Human Rights Commission) negli ultimi anni è stata molto importante per le comunità Hazara di attivisti che lottano per far riconoscere il genocidio del proprio popolo. I rapporti della stessa commissione, ma anche quelli ufficiali delle Nazioni Unite, parlano chiaro: dall’inizio della presidenza di Ashraf Ghani la violenza contro gli Hazara è aumentata a tal punto da tornare ad assumere i connotati del genocidio e della pulizia etnica.
Dal 2014 al 2021 gli Hazara hanno subito ben 33 attentati e attacchi diretti, per un totale di 1194 morti e 2281 feriti. Esattamente 3485 vittime, spesso abbandonate dal governo. Lavoratori, studenti, attivisti, giornalisti, membri della polizia locale, giovani studiosi. Molti di questi attentati non hanno un colpevole, che non è nemmeno mai stato davvero cercato. Tanti altri si risolvono con l’arresto di un capro espiatorio e qualche messaggio di commiato da parte di funzionari governativi. Nonostante l’accusa dei Talebani verso il governo di Ghani possa sembrare folle, c’è da dire che la possibilità che questi attacchi vedano il coinvolgimento di alcuni rami oscuri del governo è riportata anche da numerosi cittadini afghani ed attivisti per i diritti umani sui social.
Per quanto riguarda l’attentato del 23 luglio del 2016, per esempio, le voci sulle responsabilità dei servizi segreti afghani si erano rincorse a lungo e non sono state mai davvero smentite. Molti credono, infatti, che il progredire senza sosta della violenza possa assicurare a Ghani la possibilità di mantenere saldamente il potere. C’è chi crede, addirittura, che il presidente non avrebbe alcun problema a far uccidere i suoi cittadini per fomentare l’odio contro i Talebani. Anche per questi motivi gran parte degli attivisti Hazara hanno richiesto l’istituzione di una commissione d’indagine internazionale imparziale per indagare sugli attentati.
Negli ultimi anni le colline che circondano Kabul Ovest si sono trasformate in veri e propri cimiteri per le vittime degli attentati. Questi cimiteri improvvisati, però, cominciano ad essere pieni e i parenti delle vittime sono costretti a seppellirli in vere e proprie fosse comuni, con venti o più corpi ammassati tutti insieme.
Il sentimento comune per la comunità Hazara di Dashte Barchi potrebbe essere quello della rassegnazione o dell’esasperazione. Ma questo popolo riesce a stupire ogni giorno di più. Le studentesse della Sayyd al-Shuhada, nonostante la paura, sono già tornate a scuola e hanno annunciato che non rinunceranno mai a studiare e che se dovranno combattere, allora combatteranno con la forza delle loro idee, utilizzando come arma le penne. Che le nostre penne possano, finalmente, combattere insieme alle loro.